Le aree archeologiche

Il progetto si propone di valorizzare i siti e i beni archeologici dell’area dell’AMI. Una “narrazione” comune, un sistema integrato di comunicazione finalizzato a promuovere la scoperta e la conoscenza di un patrimonio unico e importante.

Parco archeologico del Lago Pistono
Montalto Dora


Nel giugno 2003 una campagna di scavo archeologico promossa dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte e Museo Antichità Egizie ha messo in luce le tracce di un insediamento palafitticolo riferibile al Neolitico. Lo spazio espositivo per l’Archeologia del Lago Pistono, inaugurato nel novembre 2012 all’interno dei locali comunali, documenta la Preistoria dei laghi inframorenici di Ivrea dal Neolitico all’età dei Metalli. Cultura e stile di vita di questi primi abitanti di una terra tra montagne e acque sono raccontati attraverso reperti archeologici di notevole rilevanza scientifica attraverso i quali è possibile apprendere come e di cosa vivevano gli uomini del Neolitico e in quale modo il progresso culturale influenzò la loro quotidianità. L’esposizione dei reperti provenienti dal sito neolitico del Lago Pistono è la prima tappa di un ambizioso progetto che prevede l’istituzione di un parco archeologico con la ricostruzione di un villaggio sulle sponde del lago, pannelli esplicativi e itinerari.
Info

Spazio espositivo per l'archeologia del Lago Pistono
Piazza IV Novembre,3 Montalto Dora
Telefono 0125 652771
Email omnia@comune.montalto-dora.to.it
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 Area di Santo Stefano
Chiaverano


Simbolo di Chiaverano e del suo territorio, la chiesa romanica di Santo Stefano (XI secolo) è l’unico edificio superstite dell'antico insediamento di Sassano, distrutto da una delle frequenti frane cui erano soggetti i ripidi versanti della Serra. Il suo nome deriva probabilmente dalle caratteristiche naturali della zona: saxeus, saxetum, saxsosum significano sasso, sassoso come l’assolato dosso su cui sorge, che offre ai suoi visitatori una spettacolare vista sulla natura di questi luoghi e sulla pianura sottostante. L’edificio, che risale secondo gli studiosi intorno all’anno mille, è composta da tre corpi: una navata con abside, la torre campanaria centrale sull’asse della facciata, una piccola sagrestia, aggiunta successivamente. L’interno custodisce preziosi affreschi dell’Xl secolo, che raffigurano i dodici apostoli, sovrastati dal redentore, circondato dai simboli degli evangelisti, ritenuti tra i più importanti documenti della pittura romanica canavesana e recentemente restaurati. La presenza di questa antica chiesa ha suggerito la progettazione di un giardino medioevale: un giardino antico, un ideale Hortus Conclusus come avrebbe potuto essere nei primi anni del Mille, collocato a nord rispetto alla chiesa. Lo spazio è organizzato in sei parcelle rettangolari, delineate da rami di castagno intrecciati, dove sono ospitate e classificate piante spontanee e piante coltivate prima della scoperta delle Americhe a fini alimentari e curativi. Un pergolato di travi di castagno sostenuto da “culigne”, ritti in pietra, ospita rampicanti e tre esempi di antichi vitigni tipici del Canavese. L’ingresso al giardino medioevale è occupato da una collezione di rosmarini: varietà naturali e alcune cultivar, che si differenziano per portamento, dimensione, spessore e colore della foglia, colore dei fiori e profumo.

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Sito della Pera Cunca
Masino


A poca distanza dal trivio collinare che collega tra loro i paesi di Borgomasino, Masino e Cossano, si stende la regione Lusenta, il cuore della collina borgomasinese, bosco antico di querce e castani. Attorniata dai castagni, poggia su una piccola collinetta naturale la Pera Cunca, masso erratico a forma di goccia con un diametro di circa due metri ed un’altezza media di circa 60 cm. La particolarità di questa roccia oblunga, a forma di goccia con un diametro di circa due metri ed un’altezza media di circa 60 cm, è di essere una roccia coppellata, probabilmente un altare, adito in passato ai riti di antiche religioni pagane. Le venature caratteristiche della pietra le conferiscono un’origine metamorfica. La pietra infatti è un micascisto con estese inclusioni di quarzo, abbastanza comune nella zona. Attorno alla grossa vasca centrale ellittica (avente un larghezza massima di circa 90 cm.) si distribuiscono le coppelle che sembrano raggrupparsi in tre zone distinte. Sulla funzione e l’uso della pietra si sono fatte varie supposizioni: le coppelle canalizzate e la vasca centrale fanno presumere ai culti che prevedono libagioni su pietre sacre a forma di altare, più volte descritte dai cronisti di età romana riferendosi alle tribù celtiche. L’archeologo rabdomantico Vincenzo Di Benedetto fa risalire la pietra all’epoca cromagnoide (35000 a.C)

Aurifodine
Mazzè


Percorrendo la provinciale Caluso – Cigliano sul versante di Mazzè, in direzione del ponte sulla Dora Baltea, nei pressi della chiesetta dedicata ai santi Lorenzo e Giobbe si possono osservare tracce di scavi e di accumuli di pietrame gettato alla rinfusa, testimonianza esemplare di un’attività mineraria tra le più notevoli e meglio conservate del mondo antico, che interessò varie aree distribuite sul perimetro esterno dell’anfiteatro morenico. In Canavese si è sempre tratto oro dai fiumi setacciando le sabbie depositate dalla corrente nelle lanche più tranquille. Già in antico Strabone, un erudito greco contemporaneo di Cristo, scriveva che i Salassi, la popolazione che allora abitava queste terre, scambiavano oro con i prodotti offerti dei Celti e dei Greci. La massima raccolta non avveniva sulla Dora Baltea come parrebbe indicare il nome, ma sull’Orco – detto popolarmente “eva d’or” (acqua d’oro) – torrente che attraversa la pianura canavesana da ovest ad est sino confluire nel Po. Esistevano però anche due siti dove il materiale aurifero non veniva tratto setacciando le sabbie, ma raccolto lavando le ghiaie alluvionali depositate dai ghiacciai nel corso della formazione delle morene dell’Anfiteatro Morenico di Ivrea. Il giacimento più noto è senz’altro quello della Bessa di Mongrando, localizzato sulla Serra di Ivrea, coltivato prima dai Salassi e poi dai Romani, ma ne esisteva un secondo, scoperto recentemente, lungo il corso inferiore della Dora Baltea nei comuni di Mazzè e Villareggia. Pur di dimensioni ridotte rispetto a quelle della Bessa, le aurifodine di Casale di Mazzè occupano la superficie ragguardevole di circa 150 ettari. Si stima che lo sfruttamento del placet aurifero, cioè lo strato dove le pagliuzze d'oro trasportate dai torrenti post glaciali e provenienti dalla valle d'Aosta si sono maggiormente concentrate fosse di circa 0,5 g per tonnellata. Sono quantità relativamente modeste, considerato che lo spessore del giacimento è di circa un metro, ma ciò non ha impedito che nell'antichità si siano ricavate almeno 20 tonnellate del giallo metallo.

Sito della Paraj Auta
Pavone Canavese


La "Paraj Auta" (parete alta) è una modesta elevazione (354m) posta fra il comune di Pavone Canavese e il quartiere Bellavista di Ivrea, la cui conformazione, di granulite basica, è il risultato dell'effetto dell'azione del ghiacciaio valdostano nel corso delle varie ere geologiche. La "Paraj Auta", dal quale si può osservare l'arco morenico di Ivrea e parte della sottostante pianura canavesana, è per gran parte sfruttata a bosco con piante secolari e castagni ed è coltivata a vigneto nelle zone soleggiate. Nell'area sono numerose le tracce dei popoli che ivi hanno abitato nei secoli, in particolare, le incisioni rupestri (coppelle) attestano la presenza di insediamenti risalenti all'Età del Ferro.